Il Gusto

2022-09-10 05:40:59 By : Mr. null null

MOSCA. Un valdostano ha rubato il cuore dei russi. È una storia d’amore ultraventennale quella che lega Mircko Zago a Mosca: arrivato nel 2001, è diventato un’icona della cultura gastronomica italiana all’ombra del Cremlino. Ha cucinato spesso per Vladimir Putin (primo straniero a farlo nel 2004), è stato ospite a ripetizione in diverse trasmissioni televisive, ha ricoperto il ruolo di giudice della versione locale di Master Chef e ha persino recitato in un film. Si è affezionato anche alla "c" aggiuntiva del suo nome, frutto di un errore iniziale di registrazione dell’anagrafe italiana e che lui continua a portare come ricordo sul grembiule bianco che indossa con fierezza.

«Era il lontano aprile del 2001 e la degustazione che ho proposto non è andata male, visto che sono ancora qui: nel frattempo, tutta la Russia è molto cambiata. Non sono mai stato in America, ma quando sono arrivato qui mi dava l’idea degli Stati Uniti tra le due guerre. Era un Paese in piena crescita, con pro e contro. All’epoca, il taxi lo fermavi con la mano, mentre ora ci sono una miriade di applicazioni che ti semplificano la vita. In Italia, quando sono partito, c’era Radiotaxi e ora, dopo vent’anni, c’è ancora».

Le sembra che la pandemia abbia accelerato l’evoluzione a Mosca?

«Dipende sempre dalla grandezza del contesto. Seguo anche un locale a Rostov, che si chiama La Fabbrica, ed è chiaro che nelle città più piccole il delivery ha avuto un’incidenza nettamente inferiore rispetto a quelle più grandi. Ho cominciato a seguire più locali a Mosca quando c’è stata la crisi del rublo tra il 2015 e 2016, così ho potuto proporre un’offerta gastronomica differente».

«I due Bro&n sono impostati con pizzeria, comfort food, pasta fresca e hamburger: un qualcosa che funziona bene con il delivery perché sono cibi che puoi ricevere comodamente anche a casa. Già prima della pandemia i numeri erano buoni, poi con il primo lockdown del 2020 sono aumentati esponenzialmente e siamo arrivati a incassare quasi quanto facevamo prima lavorando normalmente. L’Onest, invece, ha un tipo di ristorazione differente, in cui i piatti sono pensati esclusivamente per essere consumati sul posto».

«Come per qualsiasi altra persona. Ricordo con piacere che la seconda volta che è successo, mi hanno chiamato in sala ed è stato abbastanza divertente perché c’erano giornalisti da tutto il mondo e anche una italiana. Quando mi ha fatto i complimenti in italiano ad alta voce ho detto a Putin che lei era una dei miei e tutti, lui compreso, sono scoppiati a ridere. Poi ho cucinato anche per i 50 anni di Medvedev in Cremlino e per i 18 anni del figlio. Medvedev era più un bongustaio, mentre Putin è più tradizionalista, non mangia tanto, soprattutto negli eventi speciali pubblici, mentre quando ho preparato i banchetti settimanali per le riunioni antiterrorismo si è lasciato andare e ricordo che ha apprezzato molto la mocetta».

Ci racconta delle sue esperienze in televisione?

«Ho fatto due edizioni di Master Chef, ho partecipato a un semi-reality una quindicina d’anni fa e poi sono stato invitato diverse volte a una trasmissione che assomiglia alla Prova del cuoco che c’è in Italia».

«Sono rimasto me stesso, non ho studiato il personaggio a tavolino. Parlando col mio russo con qualche errore, a cui dovete aggiungere il fatto che io balbetto, anche se molto meno rispetto a quando ero ragazzino. Addirittura, ai tempi di Master Chef Russia, i cuochi che lavorano con me dicevano che ero molto più rompiscatole al lavoro rispetto alla televisione, nonostante lì fossi uno dei giudici più severi».

Dunque, non ci rivela il suo segreto?

«Quello che ho sempre fatto sin dall’inizio e continuo a fare è proporre la cucina italiana che avrei fatto in Italia. Non mi sono semplicemente adattato al gusto russo, ma ho cercato di far conoscere quello nostrano, che non vuol dire non utilizzare prodotti russi o le tecniche di qui. In vent’anni, ovviamente, qualche contaminazione c’è stata perché ho conosciuto questo popolo e questa cultura e l'ho utilizzata, senza mai essere troppo radicale».

«Noi italiani nelle difficoltà ci esaltiamo e tiriamo fuori il meglio. La mia fortuna è stata mettermi a fare i formaggi in Russia, che prima nessuno aveva pensato di fare ed era più comodo anche per i russi acquistarli e rivenderli».

«Sono stato tacciato di razzismo perché ho chiesto se è più italiana una mozzarella fatta in Russia da un tecnologo italiano con un latte fresco di qualità o una fatta in Italia col latte congelato in Germania da un cinese. Non era mia intenzione offendere nessuno e difendo il Made in Italy, ma non tutto è oro colato. Io sono sempre stato per il km 0 e già lavoravo con le carne russe prima delle sanzioni, per cui siamo tornati a una produzione interna come c’era prima che cadesse il comunismo e al Bro&n c’è un casaro che se ne occupa. Poi, ad esempio, c’è la stagione degli asparagi, mentre in estate si trovano i fiori di zucca: ci sono parecchi altri prodotti russi molto particolari e tutti da scoprire per chi non li conosce».

«Ho proposto dei piatti valdostani, ma secondo la mia visione, senza riprendere pedestremente la ricetta, ma partendo dal principio di quel piatto per poi farlo in maniera del tutto diversa. Ad esempio, la barbabietola si usa molto in Russia, ma fa parte anche della cultura valdostana e si utilizza in varie occasioni anche lì».

Dunque, cucina russa e italiana non sono così lontane?

«Assolutamente no. Anche le zuppe col cavolo ci sono: in Italia si usa la verza, in Russia quello bianco, il cavolo cappuccio. All’Onest quest’inverno ho proposto un piatto che praticamente è un brasato che servo con una purè di sedano rapa e una marmellata di pigna: quest’ultima, è una specialità tipica russa che ho visto qui per la prima volta e poi ho portato anche nella mia regione in Italia, perché sembrava un prodotto fatto apposta per i piatti valdostani».

«In Italia, al ristorante si va per mangiare e stop. A Mosca, vai anche solo per trascorrere un po’ di tempo, mangiare un dolce, ritrovare degli amici. C’è chi anche lo usa anche come ufficio: il ristorante è visto a 360 gradi. Noi facciamo le colazioni, in Italia è difficile trovare un ristorante che lo faccia perché non c’è la richiesta, mentre a Mosca mangiano a tutte le ore. Non c’è un orario canonico come in Italia e i russi, infatti, quando vengono nel nostro Paese si lamentano spesso di questo. Questo però è anche un discorso di costi e gestione, perché è difficile tenere aperto locale tante ore perché in Italia la manodopera costa meno, anche se la materia prima costa un po’ di più».

«Torno relativamente spesso, per cui quasi non parto mai. Pur lavorando a Mosca, prima del periodo Covid facevo 20 mila km l’anno. È stato bello passare le festività nella mia Valle d’Aosta e sono stato anche a vedere il mio Toro allo stadio battere per 4-0 la Fiorentina: il biglietto è stato un bel regalo di mia figlia, che è juventina. Adesso però, si torna ai fornelli e in questo 2022 punterò soprattutto sul fine dining all’Onest, aperto nell’ottobre 2021».