www.ladigetto.it - La «mia» Via de la Plata (7ª puntata) – Di Elena Casagrande

2022-05-19 08:13:29 By : Ms. KARI POON

Prima di Salamanca il tempo si guasta. Tre giorni di pioggia, fango e freddo ci accompagnano fino Zamora. Da lì poi devieremo sul Cammino Sanabrese

La meseta prima di Salamanca. (Puntate precedenti)   Il cammino in terra di Castiglia scorre lento. Mi faccio anche un bel pisolino sotto una quercia. Qualcuno mi copre con un giubbotto. All’ombra fa freschetto e tira un vento freddo. Al risveglio Luigina ci scatta una foto su un muretto di sassi, tra le querce. Salamanca è vicina. Ci stanno aspettando due amici di Enrico: Montse e Manuel. Entriamo in città, con una certa emozione, attraversando il fantastico ponte romano, da sempre passaggio obbligato della Via de la Plata e subito arriviamo alla Chiesa di Santiago.   Il ponte romano di Salamanca sul fiume Tormes.    Col freddo arriviamo a Salamanca dove ci ritroviamo tutti   Sulla strada romana, nel bosco, lasciamo l’Extremadura ed entriamo in Castiglia. Proprio lì ritroviamo Carlos, perso già da qualche tempo. Que alegría verse (che felicità vedersi!) - ci dice, abbracciandoci. Foto ricordo al cruceiro, check-in all’albergo dei pellegrini all’Huerto de Calisto y Melibea, un pranzo veloce a base di trota in agrodolce e poi di corsa da Manuel, che si è offerto di farci visitare la sua città. Salamanca è una delle più belle al mondo, nonché patrimonio Unesco e noi… non vediamo l’ora di vederla. Manuel è bravissimo. Ci guida ovunque: è una corsa contro il tempo e contro le nubi nere e minacciose del cielo. Stupende le cattedrali (quella nuova con l’astronauta sul portale, che indico ai compagni – e Paolo si arrabbia! – e quella antica, con la famosa torre del gallo), l’Università, il Convento di Santo Stefano (in Piazza del Concilio di Trento), le chiese di San Benito, San Marco, la mitica Casa de las Conchas (ovverosia la casa delle conchiglie, fatte scolpire nel primo ’500 dal proprietario, Rodrigo Arias Maldonado, cavaliere dell’Ordine di Santiago) e la meravigliosa Plaza Mayor. È tutto rosa-cipria. Unico tocco acceso è il bordeaux del sangue di toro delle scritte sui muri dei neo-laureati (los Vítores). Ci fosse il sole tutto sarebbe color giallo-oro, ma è bigio e non ci sono neanche 20 gradi a fronte dei 45 sofferti in Extremadura. «Siamo stati tele-trasportati in un’altra stagione?» – ci domandiamo.   La Casa de las Conchas.    La compagnia si scioglie, ma abbiamo ancora tanti passi da fare   Nella Plaza Mayor, in uno dei tanti negozietti sotto i portici, mi compero degli orecchini d’argento col botón charro, tipico dei costumi di Salamanca e ne prendo un paio anche per mia madre. Quando ho nostalgia di questo cammino li indosso con orgoglio, così mi sembra di essere a Salamanca. Qui finisce la Plata di Enrico, Luigina e Carlos. Gli addii non sono mai belli, ma abbiamo ancora tanti passi da fare e tanto tempo per tenere con noi i compagni di cammino, per ripensare a tutto quello che abbiamo vissuto insieme e per ringraziarli. Paolo ed io l’indomani ripartiamo dopo le 8, per non inzupparci già da subito, visto che pioviggina. Enry ci accompagna fino alle porte della città e ci regala un «hornazo», una torta salata con prosciutto, lomo, salame e formaggio ed una pasta frolla leggermente dolce. Sicuramente un bel viatico.   Vetrina con hornazos e bocadillos.    Sotto la pioggia siamo diretti a El Cubo de la Tierra del Vino   Inizia di nuovo a piovere. A Calzada de Valdunciel Paolo aiuta i vecchietti a tirare giù, da una nicchia della Chiesa, la statua di Santa Elena, per la processione del giorno seguente. In tutta fretta, prima che ricominci a diluviare, ci mangiamo una fetta di hornazo e poi via… tutta strada nazionale (la N- 630) fino a El Cubo de la Tierra del Vino. Arriviamo infreddoliti e zuppi: ci siamo presi tre violenti scrosci d’acqua. All’albergo parrocchiale, l’anziano prete del paese ci presenta «el pobrecito» (il povero) Vladimir, un pellegrino dell’Est Europa, che ha la dissenteria. Ringraziamo dell’ospitalità che ci offre, ma decidiamo di andare a dormire da Carmen, dove ci danno una stanza con due letti singoli, con copriletti rosa in finto-raso che fanno un po’ kitsch. In casa sono molto gentili e ci fanno usare la lavatrice. Ma quando torniamo dal giretto in paese il clima è cambiato. Sono scocciati perché non siamo rientrati per la cena (e, sicuramente, hanno saputo della nostra cena al bar El Peregrino). «Nessuno ce lo ha proposto» – sussurriamo. Silenzio. Al mattino seguente niente colazione, seppur compresa nel pernotto e la sola nonnina, vestita di nero e praticamente muta, a salutarci. «Grazie dell’accoglienza sua e del paese… e alla prossima» – le diciamo. «Sì, sì…» – dice lei. La piazza della Cattedrale di Zamora.    Fradici arriviamo a Zamora, città con più chiese romaniche al mondo   Arrivare a Zamora, «La Perla del Duero o del Romanico», è un incubo, perché piove moltissimo e la terra dei sentieri dove si passa diventa fango che si incolla agli scarponi, creando uno zoccolo scomodo e pericoloso. Non avanzo e rischio le caviglie ad ogni passo. Troviamo un riparo in un ovile solo quando oramai siamo grondanti d’acqua. Entriamo dal ponte di pietra sul fiume Duero, dopo aver cercato di telefonare invano ad una lavanderia. Di qui proseguiamo per San Cipriano e la Calle de Barromojado (la via del fango bagnato): ma guarda un po’! L’albergo dei pellegrini ancora non è stato inaugurato, ma, per fortuna, la guida tedesca ci indica un hotel. Nel tardo pomeriggio mi compero dei pantaloni lunghi e poi visitiamo il Castello (ma non la Cattedrale, che è chiusa per restauro) e solo (a fronte delle 22 totali) le splendide chiese di Santa Maria Maddalena, San Pietro, San Giovanni y como no (e come no) Santiago del Borgo.   Il portale romanico di San Juan.    Tranquilli, dicono, in Castiglia dopo 3 giorni di pioggia torna il sole   Io rientro in albergo. Ho gli scarponi fradici e cerco dei giornali per asciugarli. Paolo cena da solo e mi spiace. Purtroppo, al risveglio, gli scarponi sono ancora bagnati: devo marciare con i sandali e dovrò stare attenta a non pestare troppo. Almeno il tempo sembra clemente. I campi sono gialli e marroni. Dietro, il cielo - come ci avevano predetto dopo tre giorni di pioggia - sta tornando azzurro, con le sue nuvole bianche di Spagna: meravigliose, tridimensionali, profonde. Talvolta vediamo, accanto al nostro cammino, la strada nazionale della Plata e, da lontano, fa capolino tra i campi la sagoma di qualche Tir, a ricordarci che non siamo propriamente nel nulla. Sul sentiero incontriamo un leprotto, poco più in là c’è la mamma, morta.   Campi marroni e gialli dopo la pioggia.    Castrotorafe, culla dell’Ordine di Santiago, protettore dei pellegrini   In poco tempo raggiungiamo i paesi di Roales del Pan e Montamarta, quest’ultima con la sua splendida Ermita de la Virgen del Castillo, sita su uno sperone con vista sull’embalse (il bacino) di Ricobayo. Ci saliamo e chiediamo ad una signora se possiamo entrarci e riposare. Arrivano altri coscritti (los quintos), che stanno per assistere ad una Messa per la loro rimpatriata. Claro que sì, la iglesia es de todos, es del mundo (certamente, la Chiesa è di tutti, è del mondo), ci risponde. Forse ci addormentiamo a tratti e, finita la celebrazione, proseguiamo, col timbro del prete, per Fontanilla de Castro. Prima del paese, sulla strada, c’è una gasolinera (la stazione di benzina) con bar. Mi bevo un caffè e mi mangio un gelato. Paolo, intanto, va a vedere da vicino le rovine di Castrotorafe, con i resti del castello del XII secolo, sede dell’Ordine dei Cavalieri di Santiago e scatta delle splendide foto.   La Virgen del Castillo di Montamarta.    Dopo Riego lasceremo la Plata e ci dirigeremo verso la Sanabria   Nel tardo pomeriggio siamo a Riego del Camino. Dormiamo nell’albergue comunale. Neanche il tempo di entrare che ci raggiunge la signora Dorita. «Andate a fare la spesa – ci dice – che gli alimentari stanno per chiudere, perché stasera c’è la fiesta con carri del carnevale estivo!» Carnaval de verano? In inverno non c’è nessuno: meglio rifarsi e festeggiare d’estate, con chi ritorna al paese. Compero dolci, formaggio e un sapone. A cena si va al bar Pepe. Ci servono una bistecca ai ferri ed una bella insalata con pomodori, su un tavolino di plastica, coperto da una tovaglia di carta. Le posate sono spaiate. Ma è tutto buonissimo e genuino. Il proprietario sembra mio nonno Marcello, ferrarese, sanguigno, veloce nel pensiero, amante del buon cibo da condividere con amici e parenti… ed il ricordo corre a lui, che manca già da molti anni. Domani cominceremo a stringere verso le montagne, diretti sul Cammino Sanabrese, lasciando la Via Romana de la Plata, che prosegue, diritta, per Astorga.   Elena Casagrande (L'ottava puntata de «La Via de la Plata» sarà pubblicata mercoledì 18 maggio)   Le rovine di Castrotorafe.